Meglio il dividendo dei corporate bond. E sull'obbligazionario il focus è sugli emerging country. Considerazioni e strategie di: Ubs, Cassa Lombarda, Sella gestioni, Banca Akros, Banca Patrimoni e Pigoli Consulenza
«Prestami i soldi per il caffé, te li restituisco con gli interessi». Una battuta, spesso mandata a memoria nell'ora di pausa, in cui chi intasca l'obolo, a meno di non essere "scrocconi" incalliti, riconosce a chi dà il denaro qualche forma di remunerazione. Un rimborso, ma in base a cosa? La risposta è duplice: dal lato di chi incassa, si "paga" per fare fare ciò che, senza soldi, non si potrebbe; dal lato di chi presta, si riceve il compenso per essersi privati dell'uso immediato delle moneta. Così, il credito porta insieme con sé gli interessi.
Già, gli interessi: un valore assoluto, o in percentuale, che però rispetto all'investimento ha scarso significato. Quando si compra, per esempio un'obbligazione, sapere quanto vale l'eventuale cedola in sé dice poco. Molto più importante è capire, in rapporto al denaro investito (al prezzo pagato per il bond), quanto frutta l'investimento stesso. È fondamentale, cioè, passare al concetto di rendimento o, come dicono gli inglesi, dello yield. Ebbene il rendimento è il reddito prodotto da un investimento espresso in percentuale del capitale investito. Per esempio, il rendimento immediato di un'obbligazione con cedola al 6% e prezzo di mercato di 9 euro è 6,66 per cento. Cioè: 0,6/9 x 100 = 6,66 per cento. Il rendimento, insomma: lordo o netto; nominale o effettivo. Purché sia rendimento, ovviamente il più alto possibile.
In questo periodo, con i tassi ufficiali negli Stati Uniti compresi tra lo 0 e lo 0,25% e quelli in Europa fermi all'1%, cui si aggiunge l' incertezza sull'attuale bear market rally delle Borse, è normale che si vada in caccia del rendimento. Il Sole24Ore.com, senza alcuna pretesa di completezza, ha interpellato alcuni esperti che hanno fornito le loro strategie. Con un'avvertenza: più si cerca l'alto rendimento, più aumenta il rischio da sopportare. Per avere yield interessanti, giocoforza, bisogna rischiare di più el'investitore/risparmiatore deve fare molta attenzione.
Torna di moda la cedola
Nel 2009 molte società hanno rinunciato, o ridotto, il dividendo. Piazza Affari, che sempre nel passato è stata la «Regina di cedole» del vecchio Continente, secondo il terminale Bloomberg offre un rendimento del 3,33% (lordo), a fronte del 3,88% che vanta il Dj Stoxx 50, il 3,65% delCac40 il 3,61% del Dax 30 di Francoforte. Insomma, la Borsa milanese ha perso (almeno a dare retta ai numeri di Bloomberg) il suo primato e solo rispetto l'S&P500 rimane in vantaggio. Il magic moment, è quindi, passato? Non proprio. In generale, «i titoli con un buono, e sostenibile, dividend yield sono un asset interessante», scrive in un recente report Ubs. «In Europa - sottolineano gli esperti della banca d'affari - il rendimento delle cedole (sia attuali sia future) si avvicina a quello dello yield del Bund tedesco a 10 anni». Ebbene, è il ragionamento di Ubs, «se i dividendi "reggono", ciò vuol dire che c'è del valore per le azioni legate alle cedole. Queste, infatti, aumentano con gli utili» e il momento peggiore per gli earnings sembra ormai alle spalle. Insomma, se il trend dei profitti è impostato alla crescita - è il pensiero di Ubs - allora anche le cedole dovrebbero migliorare. «Il dividend momentum, così come l'earning momentum, è cambiato: le scelte di alzare le cedole - dice Ubs - sono più numerose dei loro tagli. Un evento che non accadeva dal maggio 2008». Di più: «I tassi d'interesse rimarranno bassi in Europa ancora per un certo tempo, e questo permetterà una buona performance del dividend yield». Secondo l'Unione banche svizzere: «La Bce non potrà alzare il costo del denato a breve per tre ragioni: la prima è il sostegno al settore finanziario; poi, c'è la cautela sul fronte dell'exit strategy e, infine, il timore che l'euro che salga ancora più su». Insomma, l'idea di cercare rendimento sui titoli che staccano la cedola non è, secondo Ubs, malvagia. Tanto che gli analisti sottolineano come diverse società in Europa avranno un buon rendimento: per Telefonica, per esempio, Ubs stima un yield lordo nel 2010 del 7,3% (il P/e è 10,4) mentre quello di Swisscomm sarà del 7,1% (P/e di 10,3 - ma in questo caso bisogna tenere conto del tasso di cambio Euro-Franco svizzero).
Un'impostazione condivisa da Marco Vailati, direttore investimenti di Cassa Lombarda: «Per un investimento nel medio-lungo periodo, anche con una bassa propensione al rischio, le utility offrono spunti interessanti. Hanno business regolamentati, alta visibilità sui flussi di cassa futuri e, compatibilmente alla fase degli investimenti in cui si trovano, hanno una propensione elevata a distribuire gli utili. Si tratta di titoli, quali per esempio: Snam Rete Gas (con un rendimento annualizzato lordo poco sopra il 5%, ndr) o Terna». Quest'ultima prevede «una politica - come scrive la stessa società - di crescita annua del dividendo del 4%, assumendo il 2008 come anno di riferimento». «In novembre - sottolinea Vailati - il gruppo ha staccato un acconto sulla cedola 2009 di 7 centesimi. Quello che verrà pagato agli azionisti nel 2010 sono i rimanenti 12 centesimi, sui complessivi 0,19 euro di dividendo. Il rendimento annuale lordo complessivo è del 6,7%. Quello post-stacco dell'acconto è il 4,22% lordo». Certo superiore a quello dei titoli di stato.
Il mondo degli emergenti...
Ma non è solo il dividendo. Sul mercato obbligazionario Nicola Trivelli, direttore investimenti di Sella Gestioni, suggerisce di dare uno sguardo ai paesi emergenti. «Una premessa è d'obbligo - sottolinea l'esperto - Si tratta di mercati da affrontare attraverso un fondo obbligazionario o un Etf.L'approccio dev'essere sempre quello della diversificazione nell'investimento per ridurre il più possibile il rischio». «Sono paesi interessanti - fa da eco Marco Baraldi, responsabile gestioni patrimoniali di Banca Akros - cui, però, il risparmiatore retail deve sempre avvicinarsi con attenzione e senza dimenticare l'eventuale prodotto finanziario nel cassetto». Al di là della giusta prudenza, quale è il motivo d'interesse per economie cosiddette non mature? «Sono paesi - risponde Trivelli - che stanno attraversando meglio di altri l'attuale crisi: in particolare, in questi ultimi periodi, abbiamo assistito a un generale miglioramento del merito di credito sul debito sovrano». Giudizi, peraltro, che sono emessi delle agenzie di rating: molti, come sembra nuovamente dimostrare il caso di Dubai, dubitano della loro concreta rilevanza... «Il ruolo delle agenzie resta fondamentale - specificaMarco Pelissero, responsabile gestione obbligazionaria di Banca Patrimoni -. Anche se non si può negare che hanno assunto un peso minore nelle analisi: il mercato, spesso, è più tempestivo nel valutare le situazioni». «E poi - aggiunge Baraldi - sul soverign debt c'è maggiore attenzione: rimangono una bussola utile». Ciò detto, «con l'esclusione degli stati dell'Est Europa e della Russia, che se la passano piuttosto male - spiega Trivelli- , sono la Cina, la stessa India ma soprattutto l'America Latina a offrire spunti interessanti». Vale a dire? «Penso, ad esempio, alBrasile che vanta un surplus commerciale e ha un tasso d'inflazione, seppur elevato per i nostri standard, non preoccupante: attorno al 4 per cento. Ebbene, il reddito fisso governativo offre discreti rendimenti. Per sempio, il bond in euro, scadenza 3/02/2015 (rating, di S&P, di BBB-, ndr), ha una cedola fissa di 5,875 che, alle quotazioni attuali, offre un yield lordo del 3,873 per cento». Insomma, su una duration media viene remunerato il rischio paese che, però, «non è così elevato».
...e il portafoglio obbligazionario ?
Rimanendo sull'obbligazionario Sergio Pigoli, presidente di Pigoli consulenza, sottolinea un aspetto sui corporate bond. «Il Markit iTraxx Europe, che è un indicatore generale del rischiosulle emissioni societarie, attualmente quota attorno a 84 punti. Cioè, in generale, nel Vecchio Continente viene prezzato un premio delle obbligazioni aziendali sui titoli di stato di 84 punti base». Prima del grande crack, quando ilcredit crunch era una parola sconosciuta e nessuno immaginava il possibile collasso del sistema, «l'indice viaggiava sui 30 punti. Nel momento di peggiore difficoltà, a marzo 2009, l'iTraxx Europe è balzato a quota 200 per poi ridiscendere sui livelli di oggi». Ebbene? «Bisogna ricordare - dice Pigoli - che non siamo ancora usciti dalla crisi; gli utili aziendali sono conseguenza più della riduzione dei costi che della crescita del business; l'andamento delle economie, soprattutto nel terzo trimestre, è stato drogato dagli aiuti statali e la domanda resta debole. Un premio al rischio così basso su i corporate bond, quindi, non è giustificato è bisogna fare attenzione».
Cosa vuol dire questo per le emissioni corporate ? Risponde Baraldi: «Tra la fine del 2008 e tutto il 2009 abbiamo assistito all'esplosione di emissioni aziendali. Le società, sfruttando i tassi bassi, hanno raccolto denaro evitando di passare per l'intermediazione bancaria. Per gli investitori è stato un momento favorevole: c'erano buoni rendimenti su titoli anche con merito di credito elevato». E adesso? «Adesso il timing non è più quello giusto. Gli spread con i governativi sono scesi. Le emissioni investment grade di società industriali, di cui si possa monitorare la capacità a tenere i conti sotto controllo, non sono più così interessanti. Solo chi ha già in portafoglio questi prodotti deve continuare a tenerli».
I contenuti dell'articolo non costituiscono sollecitazione all'investimento o del risparmio
3 DICEMBRE 2009 |