Svizzera prima. Italia solo 48esima, superata pure dalla Tunisia. Nella classifica del World Economic Forum, basata su 9 indicatori suddivisi in sub-indici, l'Italia rispetto al 2008 migliora solo sulla Lituania, è superata anche dalla Polonia e resta lontanissima dai maggiori concorrenti europei (Germania settima, Gran Bretagna 13esima e Francia 16esima) e a debita distanza anche dalla Spagna (33esima), per non accennare ai Paesi scandinavi (Svezia quarta, Danimarca quinta e Finlandia sesta). Se non altro non perde posizioni come negli ultimi anni e continua a distinguersi in alcune aree complesse come la 'Business Sophistication' (20esimo posto), cioè la capacità espressa dal sistema delle imprese.
I punti di forza dell'Italia sono le dimensioni del mercato (nono posto) e lo sviluppo dei distretti (terzo).
E' sul fronte delle istituzioni (92esimo posto complessivo) che si accumulano i 'voti' peggiori per la Penisola: è agli ultimi posti per la fiducia pubblica nei politici (107esima), spreco del denaro pubblico (121esima), efficienza del sistema legale (128esima), trasparenza delle decisioni politiche (109esima), protezione degli interessi dei soci di minoranza (124esima), efficacia dei cda (121esima).
Lo stato delle finanze pubbliche incide pesantemente sul capitolo della stabilità macro-economica (102esima posizione complessiva), mentre le infrastrutture si aggiudicano il 59esimo posto, grazie alle linee telefoniche (34esimo) e nonostante la (scarsa) qualità degli aeroporti (85esimo).
Sanità e istruzione primaria (26esima posizione) sono una boccata d'ossigeno, ma grazie soprattutto alla longevità, mentre la spesa per l'istruzione (65esimo posto) frena la performance. La qualità dell'istruzione secondaria arranca (87esimo posto), come pure la formazione del personale (118esimo).
Le innumerevoli note dolenti dal mercato del lavoro vengono dal basso livello di collaborazione nelle relazioni tra dipendenti e datori di lavoro (123esimo posto), dalla scarsa flessibilità nella contrattazione salariale (126esimo), dalle difficoltà nelle pratiche di assunzione e licenziamento (128esimo) e dal binomio salari e produttività (124esimo), così come dalla scarsa partecipazione delle donne (90esimo posto) e dal brain drain (91esimo).
Le preoccupazioni degli imprenditori sul credito trovano riscontro nella 98esima posizione per l'accesso ai prestiti e nella 104esima per la disponibilità di venture capital.
Il Wef - che ha sede a Ginevra e nella Confederazione organizza il summit di Davos - assegna alla Svizzera il titolo di Paese più competitivo del mondo, grazie alla "relativa stabilità" della sua performance durante la crisi. Tra le eccellenze elvetiche la capacità di innovazione, la cultura di impresa, l'efficienza e la trasparenza delle istituzioni pubbliche, le infrastrutture e l'ottimo funzionamento del mercato del lavoro.
Dopo molti anni al top, gli Usa hanno invece perso lo scettro della competitività risentendo della minore stabilità macro-economica (93 posto dal 66esimo del 2008), legata agli squilibri dei conti pubblici esacerbati dagli interventi anti-crisi. Ma gli States hanno perso molte posizioni anche nella 'sofistificazione dei mercati finanziarì (al 20esimo posto dal nono), con una 39esima posizione (dalla 20esima) per gli standard di contabilità e revisione. Una discesa "non inattesa", quest'ultima "nel contesto delle recenti turbolenze e degli scandali finanziari", commenta il Wef. Il crollo di Lehman Brothers e il caso Madoff hanno colpito anche qui.
Fonte
Potete trovare il rapporto completo originale del World Economic Forum a questo indirizzo (in inglese)