20/09/09

Paul Krugman, Nobel 2008 per l'economia, avverte: la crisi può tornare

Riporto questa intervista de "Ilsole24ore" al premio nobel per l'economia 2008 Paul Krugman sulla crisi economica e finanziaria e sul possibile pericolo che si possa ripresentare.

«Se prima le prospettive mondiali erano terribili, adesso sono "solo" deprimenti». Il premio Nobel 2008 per l'economia, Paul Krugman, liberal per eccellenza, tira un sospiro di sollievo, ma rimane molto preoccupato. «La temuta grande depressione non c'è stata e probabilmente oggi ci troviamo in una situazione di nuova crescita. Ma c'è una grande differenza tra lasciarsi una recessione alle spalle e avviare una vera ripresa. Gli interventi statali hanno evitato il peggio, hanno fermato la catastrofe, ma non sono ancora sufficienti a rilanciare l'economia».

Professor Krugman, è possibile che torni la recessione?
Ci sono buone possibilità, inferiori al 50%, ma ci sono. Questo perché la ripresa è fondamentalmente costruita sulle scorte supplementari e sulle giacenze e storicamente questo porta a una crescita molto lenta. Le misure di sostegno all'economia varate dai governi nei prossimi mesi si affievoliranno e temo che ci possa essere una recessione a W.

I deficit quindi hanno salvato il mondo?
Meno male che c'è stata una decisa espansione della spesa pubblica. Se i governi non avessero accettato di aumentare i deficit, saremmo tornati agli anni 30. Ma ora i leader mondiali devono fare di più.

Recentemente ha affermato che «se persino l'Italia può gestire rapporti debito-Pil superiori al 100%, anche noi americani dovremmo farcela».
In effetti utilizzo l'Italia, ma anche il Belgio, come recenti esempi di paesi in cui è possibile avere un alto livello di indebitamento, paragonabile a quello che può attendere gli Stati Uniti in futuro. Due esempi di paesi che nonostante il debito elevato, non sono falliti.

C'è il rischio che scoppi una nuova bolla?
Negli ultimi 25 anni siamo passati da una bolla all'altra e nel contempo abbiamo sempre proclamato un ritorno alla stabilizzazione. Ma in realtà si raggiungeva un'apparente stabilità sostituendo una bolla con un'altra. È difficile poter dire quale sarà la prossima, comunque temo che siamo in una situazione di vulnerabilità. La domanda da farsi è: ci sarà una riforma finanziaria sufficiente a evitare una new bubble?

Gli ultimi dati evidenziano una disoccupazione Usa in aumento al 9,7%. Quali sono le sue previsioni?
Temo che dobbiamo accettare ancora un lungo periodo di disoccupazione. Se osserviamo le recenti recessioni negli Stati Uniti, nei primi anni 90 e nel 2002, in entrambi i casi all'avvio della ripresa la situazione del mercato del lavoro è continuata a peggiorare per un altro anno e mezzo. La prospettiva adesso è che la disoccupazione continui a crescere fino al 2012.

Molti lavoratori perderanno anche l'assicurazione per le cure mediche. Da sempre lei è un forte sostenitore di una riforma della sanità Usa. Quanto è soddisfatto del piano presentato dal senatore Max Baucus?
Il nuovo piano è insufficiente. Se migliorato, forse, può diventare accettabile. L'approccio giusto, secondo me, è avere una maggiore erogazione dei servizi assicurativi-sanitari di tipo governativo. Ci vorranno anni, se non decenni, perché diventi possibile. Ma è anche vero che alcuni paesi europei, fra cui la Svizzera, hanno una copertura sanitaria universale con un sistema privato di assicurazioni. Questo è possibile con il giusto sistema di sussidi e regolamenti.

Come giudica le ultime decisioni americane di tassare le importazioni di tubi di acciaio e pneumatici dalla Cina? Si ritorna al protezionismo? Quanto è forte il rischio di un'escalation?
Penso che si sia trattato di misure assolutamente calibrate e ponderate, ci si è mossi all'interno di quanto stabilito in sede Wto nei rapporti con la Cina. Si tratta di protezioni safeguards che gli stati possono attivare per proteggere l'industria da fenomeni eccessivamente avversi per quanto riguarda le importazioni. D'altra parte il libero commercio puro non è mai esistito; ha sempre bisogno di cuscinetti per proteggere l'industria da shock eccessivi.

La Cina è il più grande creditore degli Stati Uniti. È lecito attendersi ritorsioni? Le ultime flessioni del dollaro sono state accompagnate da voci insistenti secondo cui Pechino intende diversificare gli investimenti in riserve valutarie, senza trascurare l'alternativa oro.
In questo gioco la Cina ha da perdere più di quanto possono perdere gli Stati Uniti. E la recente caduta del dollaro, in realtà, aiuta gli Usa. Questo può essere un problema per l'Europa e per il Giappone, ma aiuta le esportazioni statunitensi a essere più concorrenziali. Non vedo una minaccia.

Lei ha anche avanzato l'ipotesi che l'Europa abbia commesso un errore dieci anni fa nell'adottare l'euro, più che altro perché per reagire alle crisi è meglio avere una sola entità decisionale. Ma la più devastante decisione di lasciar fallire Lehman, è stata presa proprio da un'autorità finanziaria unica, quella americana?
È vero. Però è altrettanto vero che la crisi è stata profonda anche in Europa, quindi non è chiaro quanta differenza abbia fatto la decisione di lasciar cadere Lehman. L'Europa pur avendo dei punti di forza, ha un problema strutturale: avete un'unica valuta, però non c'è un'unica autorità finanziaria. Un'altra problematica è la bassa mobilità del mercato del lavoro. L'Eurozona, quindi, ha più problemi di quelli dell'area dollaro, che invece, ha funzionato bene a confronto.

Le responsabilità della crisi a suo giudizio sono da attribuire, in buona parte, all'ex presidente della Fed Alan Greenspan e alle sue politiche monetarie durante la presidenza Bush. Ma certe patologie del sistema - il degrado etico, i buchi nella rete dei controlli - erano già presenti negli anni di Clinton: le bancherotte Worldcom ed Enron insegnano. Mi perdoni, ma lei non era un consigliere di Enron?
No, facevo solo parte di un comitato consultivo dell'azienda. Ero stato chiamato come consulente per informarli sulla crisi finanziaria mondiale. Non avevo alcuna conoscenza di quello che avveniva nell'azienda.

Professore, per concludere, dove sta andando l'economia?
Ci sono stati cambiamenti nella giusta direzione e l'abbiamo visto negli Stati Uniti. Un cambiamento magari un po' troppo prudente, ma c'è motivo di sperare che continui. Siamo riusciti a venir fuori dagli orribili anni 30 più forti, con una migliore giustizia sociale. Voglio sperare che la stessa cosa si verifichi ora.

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