15/10/09

Perchè oggi il dollaro è una moneta così debole??

Riporto qui un articolo apparso su Ilsole24ore.com ieri che mi sembra molto interessante che riguarda il perchè il dollario sia ad oggi una moneta così debole (il cambio con l'Euro potrebbe arrivare a superare 1.5 se non 1.6).

Il dollaro rimarrà debole. Gli esperti, anche in questo strano autunno finanziario, sono in gran parte d'accordo. Qualcuno fissa, per fine anno, un livello di cambio sull'Euro a 1,60. Altri, più prudenti, indicano un movimento laterale attorno a 1,50-1,51. Ma il trend di fondo è condiviso: il biglietto verde resterà "weakness"; «sul lungo periodo -scrive Citi -le pressioni al ribasso resisteranno». Le divisioni nascono, al contrario, sul come e perché questo avvenga. Da una parte c'è chi ricerca le cause in "classici" fondamentali: il differenziale dei tassi tra Europa e Stati Uniti, il deficit o il debito Usa. Altri, invece, guardano più al contingente, ad alcune caratteristiche dei mercati finanziari legate alla crisi. In particolare, alla liquidità.

«La Federal reserve americana - sottolinea Fabrizio Quirighetti, capo economista di Banca Syz - per fronteggiare il credit crunch, sta sfruttando anche il cosiddetto quantitive easing, cioè acquista bond in dollari pagandoli sempre in dollari. La conseguenza di questa politica monetaria, a differenza di quella che sfrutta solo i tassi d'interesse, è un vero e proprio aumento dei volumi della divisa Usa, un surplus di biglietti verdi. Che, però, il mercato non riesce a digerire. Così, il dollaro si indebolisce». Il quantitave easing, tuttavia, è stato realizzato nel passato anche dalla Banca centrale del giappone: perché a Tokyo non ci fu svalutazione dello yen? «Perché - risponde Quirighetti - gli operatori erano sempre interni a quel mercato. Il credito iscritto nel bilancio della Bank of Japan, in corrispondenza delle obbligazioni comprate dalla Banca centrale, era sempre "intestato" a istituti finanziari giapponesi. In questa situazione l'effetto sui cambi con le altre valute non si sente, o si sente di meno». Negli Usa, al contrario, «il debito è in gran parte nelle mani degli investitori stranieri che, in questo momento, non vogliono sentire» troppo l'odore dei dollari. «Non è un caso - tiene a specificare Quirighetti - che l'altra moneta che scende in questo periodo è la sterlina. Anche lì, la Bank of England è l'istituto centrale che ha fatto pieno uso del quantitave easing». Insomma, la liquidità viene fatta aumentare per fronteggiare la crisi; ma la liquidità, quasi non più strumento bensì una variabile a sé stante, cerca la diversificazione, va in caccia di altri rendimenti e si dimentica del dollaro.

«Nell'ultimo report dell'Fmi - aggiunge Bill Witherell, capo economista di Cumberland avdisors - è indicato implicitamente che le banche centrali sono riluttanti ad aumentare le loro riserve nella divisa Usa e, lentamente, si indirizzano verso altre monete. Ovvio che», come peraltro dimostrato dall'ultimo dato della Banca centrale cinese nel periodo luglio-settembre, «l'abbandono dell'America non può avvenire hic et nunc: gli stessi asset miliardiari in dollari, iscritti nei bilanci degli istituti finanziari, si svaluterebbero. Ma il trend sembra definito». «Anche perché -aggiunge Witherell - diversi paesi, produttori e consumatori di petrolio (gli stati del Golfo persico, Cina, Russia, Giappone e Francia), avrebbero discusso della possibilità di sostituire il dollaro con un basket di monete, nelle transazioni del petrolio. Di nuovo, però, lo scenario non è immaginabile nel breve periodo». Chi pensa, per esempio, a una sostituzione dei petrodollari con i petroeuro, dovrebbe giustificare un balzo nominale della bolletta energetica che, in questo periodo di crisi, sarebbe indigesta alla gran parte dei paesi occidentali

Che la liquidità sia, in questo momento, una variabile comunque da tenere d'occhio è peraltro dimostrato dall'andamento delle quotazioni dell'oro. «Nel secondo trimestre del 2009 - spiega Rozanna Wozniak, investment research manager di World gold council - la cosiddetta "investment demand", cioè l'investimento sull'oro inteso come asset finanziario, pesava per 31% della domanda totale di lingotti, contro il 19% dello stesso periodo del 2008». Ciò vuol dire che, o con finalità di diversificazione o di speculazione, anche nel mondo del metallo pregiato la liquidità assume di per se stessa un ruolo sempre maggiore nel determinare le quotazioni. Il tutto a scapito, ovviamente, della domanda finalizzata all'utilizzo reale, industriale o per le gioellerie, dei lingotti.

Al di là di questi aspetti, c'è chi sottolinea motivazioni più "classiche". «Nel breve periodo - afferma Ronny Hamaui, docente di mercati monetari internazionali alla Cattolica - il calo del dollaro è dovuto al differenziale d'interessi. In particolare, è il carry trade: molti investitori vanno short sul dollaro e investono sull'euro». «Certamente ci sarà anche questo - dice Quirighetti - Però, la differenza tra i tassi Bce (all'1%, ndr) e quelli della Fed (di fatto a zero, ndr) non mi sembra tale da giustificare così ampi spostamenti sui mercati monetari». Su questo fronte, peraltro, molti si domandano quali le strategie sul costo del denaro al di qua e al di là dell'oceano Atlantico. «Il presidente della Bce - dice Quirighetti - è molto focalizzato sul tema dell'inflazione. È probabile che il tasso di crescita dei prezzi al consumo, con la salita delle quotazioni del petrolio e dell'inflazione core, a inizio del 2010 si attesti sul 2 per cento. Un evento che, quasi in automatico, porterà l'Eurotower a rialzare il costo del denaro. In quel momento sì, che l'Euro potrebbe salire sul differenziale dei tassi». Certo, bisognerà vedere se Ben Bernanke, capo della Fed, manterrà l'easy money. Se ciò accadrà, il dollaro si terrà stretta la sua debolezza. Ma la speranza è che, come accaduto nel recente passato, le banche centrali coordino le loro azioni.

Più sul lungo periodo, invece, «incidono il debito - dice Hamaui - e il deficit commerciale americano. Quest'ultimo in particolare, come sappiamo, è elevato: viaggia verso il 3% del Pil. Ora il mantenimento di un biglietto verde debole nei confronti delle altre valute è essenziale per sostenere l'export americano». Washington, evidentemente, ha tutto l'interesse a lasciare proseguire la scivolata della sua moneta verso il basso: una situazione che sposta gli scenari competitivi. «Il problema per l'economia di Eurolandia - aggiunge Quirighetti - non sarebbe tanto un livello dell'Euro più alto. La moneta unica europea a 1,60 sul dollaro l'abbiamo già sperimentata e l'industria del Vecchio Continente non è andata in frantumi. La vera questione è, soprattutto in un momento di crisi come l'attuale, la velocità con cui si passa dalle quotazioni di oggi ad altre più elevate. Se la salita sarà graduale non avremo grandissimi problemi». Il mondo, insomma, continuerà ad esistere. «Se, al contrario, il balzo dell'Euro sarà troppo repentino le industrie europee soffriranno, e molto».


Aggiungo una conclusione: se una moneta è debole, essa rende molto più facili gli scambi con l'estero nel breve periodo poichè, essendo di minor valore di un altra, quelli che utilizzano altre forme di monete (Euro) con il cambio ci guadagnano moltissimo, ricevendo una sorta di sconto gratuito sulle merci. Stessa cosa succede in borsa, in quanto comprando ora ad un prezzo ridotto, quando il dollaro tornerà a salire, si avrà un guadagno anche in quei termini (rivendendo ad un prezzo più alto). Il problema è sulle importazion (esse costeranno di più) e sul "prestigio" della valuta a livello internazionale

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