09/10/09

Basta con il PIL: e' tempo di utilizzare il BIL

Nell'articolo sulla conferenza di "Etica ed Economia" ho accennato alla questione dell'utilizzo del PIL e della sua messa in discussione soprattutto negli ultimi tempi e di una sua possibile sostituzione a favore di un nuovo indicatore, il BIL: Benessere Interno Lordo.
Per quanto riguarda la spiegazione dei vari fattori che influenzano il PIL vi rimando a questo articolo.

I LIMITI DEL PIL

Il PIL è stato analizzato con molta cura e si è scoperto che...ha dei limiti: questi limiti sono spiegati bene in una intervista de "Ilsole24ore" a Luigi Biggeri, presidente dell'ISTAT che ora riporto qui sotto:


«L'uso che spesso si fa, in politica o sui media, del concetto di Prodotto interno lordo come se fosse una misura del benessere, della qualità della vita o della felicità delle persone, è distorto. Il Pil è un concetto nato per misurare l'efficienza produttiva di un Paese, la sua performance di produzione. Nessuno mai, dal punto di vista teorico, ha voluto assegnare al Pil altre funzioni». Luigi Biggeri, presidente dell'Istat, fa capire chiaramente che il presidente francese Nicolas Sarkozy non ha inventato nulla di nuovo nel chiedere a ben due premi Nobel di trovare strumenti statistici più efficaci per dar conto del benessere del Paese. «Già dagli anni Sessanta – spiega – dopo dieci o quindici anni dalla sua adozione, tutti sostenevano che il Pil era imperfetto anche come misura dell'attività produttiva».

Perché?
È semplice. Con il Pil ci si riferisce solo ai beni finali di mercato e non si considerano le distruzioni di beni capitali o di risorse umane o ambientali. Inoltre, non si considera la produzione per auto-consumo delle famiglie: il lavoro delle donne casalinghe, di quelle che da sole si fanno i vestiti, o di quelle che "fanno i capelli"; una volta, quando la nostra cultura era più contadina, si faceva anche l'esempio della frutta e della verdura prodotta nel proprio orto. Insomma, già dopo pochi anni di vita, il Pil si è attirato tante critiche proprio sulla sua completa efficacia come misura dell'efficienza produttiva, rivolta unicamente a quanto avviene sul mercato. A maggior ragione, il Pil non funziona come misura del benessere sociale, se non è corredato da indicatori di disuguaglianza. Eppure, i politici lo hanno usato moltissimo come parametro di riferimento "ampio": basta pensare ai criteri per l'ingresso nell'Unione Europea.

Ma come mai si utilizza solo questo metro, pur sapendo che è così imperfetto?
Perché non ci sono altre misure in grado di sostituirlo, in questo momento. Altri metri sono stati costruiti: per esempio l'indicatore di sviluppo umano dell'Onu, nel quale insieme al Pil si considerano altre variabili, come la disoccupazione o la speranza di vita alla nascita. C'è poi l'indicatore dello sviluppo sostenibile o prodotto sostenibile, che fornisce indicazioni utili, per evitare di lasciare in eredità ai nostri figli e nipoti una società più povera riguardo alle ricchezze naturali e ambientali. Ma questi indicatori non si sono mai affermati fino in fondo. Inoltre, nell'ambito della contabilità nazionale, è stato fatto anche un tentativo di inserire quanto meno gli aspetti ambientali, con i cosiddetti conti satellite, che cercano di dar conto di peggioramenti ambientali o di aspetti della salute e così via.

Vengono alla mente i cumuli di immondizia a Napoli...
Guardi, qui tocchiamo con mano il paradosso del Pil come unità di misura: se lei fa il calcolo delle ore di straordinario della forza pubblica o quelle impiegate dai camion che lavorano per portar via i rifiuti, tutto ciò comporta un aumento del Prodotto interno lordo. Le faccio un altro esempio: se c'è un'alluvione e tutti lavorano per cercare di eliminare i danni, la produzione aumenta. È evidente che occorrerebbe prima calcolare il danno, sottrarre la distruzione di risorse e poi aggiungere la spesa per la ricostruzione....

Come si può avvicinare la fotografia fornita dal Pil alla realtà effettiva, tenendo conto anche dei livelli di benessere e delle percezioni della gente?
Ci sono tre metodi che la statistica offre. Il primo è integrare le attuali misurazioni del Pil e correggere il metro. Intorno al nocciolo duro si possono considerare degli elementi che accrescono il Pil e altri, che invece rappresentano danni, i quali possono essere detratti dalla misura normale del Pil. La seconda metodologia passa per la ricerca di un indice globale alternativo, come sintesi di tante misure parziali dei fenomeni. Ma l'inconveniente dell'indice globale è che dipende dal peso che viene attribuito ai singoli fenomeni. E allora ogni prospettiva può essere giustificata: i no global possono dare un peso superiore ad alcune variabili e magari i politici di governo attribuiscono un peso maggiore ad altri aspetti. Insomma, sulle ponderazioni è molto difficile trovare un accordo e l'indice sintetico ha sempre la difficoltà di essere accettato da tutti.

E la terza via?
La terza via passa per la disponibilità di un insieme di indicatori complesso, visto che ci troviamo in un mondo globablizzato e di fronte a un fenomeno multivariato. Inoltre, si può fare una distinzione fra indicatori oggettivi e soggettivi. Questo ci permette di tracciare un quadro che fa luce non solo sull'aspetto economico ma anche sugli aspetti sociali e sulla soddisfazione delle persone. Pensi ad esempio al Development millennium goal. Noi in Italia realizziamo sin dal 1994 le indagini multiscopo sulle famiglie per tener conto degli elementi sociali. E rileviamo lo stato di soddisfazione nei confronti dei servizi sociali, ma anche il tempo libero, la soddisfazione per la salute, il sentirsi poveri o no. Non a caso, nel Rapporto sulla situazione del Paese che presentiamo ogni anno forniamo indicazioni sul welfare, sulle famiglie, sulla società, eccetera.

Si fa così anche a livello internazionale?
Anche all'interno di Eurostat si discute molto di come integrare il Pil con un set di più indicatori. Purtroppo, quando si va su cose difficili da misurare, occorrono degli standard metodologici condivisi. E spesso gli statistici ufficiali impiegano anni per accordarsi su definizioni, metodi, eccetera. Allora, per superare l'impasse, a mio parere sarebbe meglio affidarsi inizialmente anche a misure un po' approssimative che comunque ci danno un'idea del percorso.
Però il "campionato internazionale" si gioca ancora utilizzando solo il Pil. Lei come valuta, per esempio, la gara fra la Spagna e l'Italia? Chi ha ragione?
Le gare basate su un indicatore sintetico, come dicevo prima, comportano differenti interpretazioni ed è evidente che questo genere di competizioni dal punto di vista di uno statistico hanno poco senso. Nel caso della Spagna e dell'Italia, infatti, se si fa riferimento all'indicatore del Pil pro-capite valutato in base alla moneta nazionale o, tra Paesi europei, in base all'euro, anche in base all'euro, si mette in evidenza che l'Italia è più avanti della Spagna. Se invece ci si riferisce al Pil pro-capite ponderato per le parità di potere d'acquisto, è più avanti la Spagna.
E quale indicatore ha più significato ?
Dipende. Forse, per il singolo cittadino può avere più significato l'indicatore ponderato in base alle parità di potere d'acquisto. Ma, per il reddito prodotto da un'intera nazione ha più senso valutare sulla base dell'euro. Faccio un esempio basato sulle terre di casa nostra. Se valutiamo il Pil per abitante della Lombardia e quello della Calabria, di certo quello lombardo è nettamente più avanti di quello calabrese. Però, se io cambio indicatore e tengo conto delle parità di potere d'acquisto territoriali, vale a dire dei livelli dei prezzi, che certamente in Calabria sono più bassi dei prezzi in Lombardia, le distanze si possono accorciare anche molto. Infatti, anche la World Bank e il Fmi, che pure utilizzano il sistema con le parità di potere d'acquisto, avvertono che quando le differenze fra Stati a fra regioni non sono così forti, questa metodologia, che è imperfetta, non dà risultati certi. In Lombardia non si consumano gli stessi beni che si consumano in Calabria.

Detti i limiti (oggettivi) del PIL, è il momento di trovare una soluzione magari non per sostituirlo, ma piuttosto che lo va a completare.
La soluzione che è stata trovata, come stavo già dicendo, si chiama "BIL" ovvero il "Benessere Interno Lordo".

IL BIL E LE 12 RACCOMANDAZIONI DI JOSEPH STIGLITZ

L'idea del BIL è stata ripescata e messa a nuovo da Sarkozy e dalla commissione da lui incaricata con a capo Joseph Stiglitz; quest'ultimo ha redatto 12 raccomandazioni su cui bisognerebbe in futuro basarsi per analizzare il benessere di uno stato:

(raccomandazione 1). Come dire: andiamo oltre il Pil («Il Pil non è falso, ma forse male utilizzato», soprattutto perché nasconde forti divari individuali). L'idea è aggiungere altri parametri per il calcolo della reale ricchezza di un paese. Altro consiglio: «rafforzare l'analisi dal punto di vista delle famiglie» (raccomandazione 2). Il rapporto incita così a prendere in considerazione tasse, prestazioni sociali e i servizi forniti dallo stato, come la sanità e l'istruzione.
Non solo: «bisogna tenere in conto il patrimonio delle famiglie» (raccomandazione 3). Occorre, quindi, distinguere fra i nuclei che spendono tutti i loro redditi annui tramite i consumi, accrescendo il benessere immediato, e quelli che riescono ad aumentare il patrimonio, a beneficio del benessere futuro. Secondo il rapporto Stiglitz, bisogna analizzare la situazione finanziaria delle famiglie con i medesimi strumenti applicati al bilancio di un'impresa, distinguendo attivo e passivo.
«Dare più importanza alla ripartizione dei redditi» è la raccomandazione 4. A questo proposito il rapporto propone di rinunciare in certi casi alle medie matematiche così da optare, invece, per il livello di reddito che divide il 50% della popolazione più povera dal 50% più ricco. Per Stiglitz e gli altri economisti bisogna «estendere gli indicatori alle attività non legate direttamente al mercato» (raccomandazione 5). Ce ne sono infatti alcune (come le pulizie in casa o accudire neonati) che vengono prese in considerazione solo se svolte da personale salariato, ma non da membri della famiglia.
Arriviamo, poi, alla qualità della vita. La raccomandazione 6 incita a «migliorare la valutazione di sanità, educazione e condizioni ambientali», mediante calcoli oggettivi ma pure strumenti a carattere soggettivo (sondaggi). Inoltre, si devono «valutare in maniera davvero esaustiva le ineguaglianze» rispetto alla qualità della vita (raccomandazione 7): significa calcolare le differenze fra persone, sessi, generazioni, fornendo una particolare attenzione alle condizioni di vita degli immigrati.
«Realizzare inchieste per capire come le evoluzioni in un settore della qualità della vita hanno ripercussioni su altri» è la raccomandazione 8, mentre la 9 consiglia di «creare una misura sintetica della qualità della vita»: come dire, fornire un valore aggregato per quanto definito sopra, un ruolo (assai difficile) che dovrà essere svolto dagli istituti nazionali di statistica. Questi saranno chiamati anche a cercare d'«integrare nelle inchieste sulla qualità della vita dati sull'evoluzione effettuata da ogni cittadino nel corso della propria esistenza» (raccomandazione 10). Infine, le ultime due raccomandazioni consigliano di «valutare la "sostenibilità" del benessere», ossia capire se si può mantenere nel tempo (11). E di stabilire indicatori precisi che «quantifichino le pressioni ambientali» (12).


Sono presenti anche tre messaggi che però non riporto, potrete però trovarli all'indirizzo che ho messo sopra.

Il BIL quindi avrà come scopo quello di misurare tutti gli elementi che si prendono in considerazione per determinare se la vita che si sta vivendo in quella determinata zona è "degna di essere vissuta": condizioni di vita materiali, salute, istruzioni, attivita’ personali, partecipazione alla vita politica, rapporti sociali, ambiente, insicurezza economica e fisica.


Può essere una soluzione, che ci renderà tutti meno dipendenti da numeri e dati e invece più "umani e filosofici": chissà però se sarà la vera soluzione.

LinkWithin

Related Posts with Thumbnails